Il gioco rappresenta indubbiamente una delle attività in grado di rendere felice l’uomo. In generale, tutte le attività ludiche, che si adattano con il passare del tempo alle varie età, rispondono sempre allo stesso concetto, ossia quello di procurare spasso e piacere. E non è nemmeno un caso che spesso proprio questo concetto venga contrapposto a quello del lavoro. Questa dicotomia, ossia gioco uguale piacere e lavoro uguale sofferenza, è molto radicata nella società moderna, indipendentemente dal Paese e dalla cultura di appartenenza. Nonostante ciò le attività lavorative moderne sono ben differenti da quelle di un tempo e vi sono attività lavorative in grado di fornire piacere nel sacrificio, grazie anche alla gamification.
Insomma, sono in tanti a credere che la contrapposizione del gioco sia il lavoro, ma a questa teoria comunemente accettata si contrappone Brian Sutton-Smith, noto psicologo del gioco che gode di grande visibilità a livello internazionale per via di saggi e ricerche come ‘The Ambiguity of Play’. Ebbene, secondo Sutton-Smith, l’opposto del gioco non è il lavoro, bensì la depressione. Che può essere anche causata dal lavoro, ma non può mai essere considerata un sinonimo. Bisogna comunque intendersi bene anche su questo aspetto e definire con esattezza il concetto di depressione e le sue conseguenze.
Ci viene in soccorso, in questo senso, Jane McGonigal, game designer e autrice del libro “La realtà in gioco”. Esperta di fama mondiale, la McGonigal parla di depressione quando siamo affetti da “un senso pessimistico di inadeguatezza” e “una scoraggiata assenza di attività”. Riassumendo, dunque, la depressione è la risultante di un mix tra pessimismo, senso di inadeguatezza e inattività generale. Definito questo concetto, è più facile rimarcare la contrapposizione con il gioco.
Basta infatti formulare l’opposto dei concetti che stanno alla base della depressione, per identificare alla perfezione il gioco come “un senso ottimistico relativo alle nostre stesse capacità” ed un “vigoroso impulso all’attività”. Il gioco, in definitiva, promuove un attico coinvolgimento ed è “l’esatto opposto emotivo della depressione”. In questo senso, dunque, non regge la dicotomia tra gioco e lavoro, anzi, perché escludere che le due cose riescano magari a fondersi magari grazie alla gamification?
A proposito di questo argomento, sono stati effettuati nei decenni scorsi degli studi raccolti dal magazine online GamingReport.it. Tra questi, emerge quello condotto negli anni ’70 dallo psicologo Mihàly Csikszentmihàlyi e che pubblicò “Beyond Boredom and Anxiety”. In questo studio, tra le altre cose, veniva tracciato il concetto di “flusso”, che somiglia molto a quello di engagement, ossia una sorta di coinvolgimento e realizzazione creativa che portano all’appagamento. Ebbene, secondo Csikszentmihàlyi il “flusso” era presente nelle attività di tipo ludico, mentre era carente in quelle quotidiane, incluso il lavoro. Eppure c’era anche in questo caso la soluzione: per ritrovare il flusso anche nelle attività lavorative e sperimentare la felicità e l’appagamento, bisognava riprodurre in ambito lavorativo le strutture tipiche del gioco.